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Buona Morte o "Dolce Morte"? L'inganno dell'eutanasia 

Definizione

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Per «eutanasia» si intende:

la soppressione indolore o per pietà di chi soffre o si ritiene che soffra e che possa soffrire nel futuro in modo insopportabile”.

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["Eutanasia" in Manuale di Bioetica, Vol. I – Fondamenti ed etica biomedica, Em.za mons. Elio Sgreccia (a cura di), Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 876-877].

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Altra definizione:

Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore”.

[S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione "Jura et bona"sull'eutanasia, 5 maggio 1980]

 

La "Dolce Morte" come negazione della Buona Morte

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L’eutanasia nella sua essenza costituisce la radicale negazione della buona morte, giacché tramite di essa si realizza il rifiuto di ogni forma di sofferenza che culmina con la morte e, di conseguenza, dell’esistenza di una vita ultraterrena, nonché del giudizio che attende ogni uomo dopo l’inevitabile trapasso.

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L’eutanasia impedisce e annulla l’agonia, ossia l’ultimo atto della vita dell’uomo prima di spirare l’anima e concludere il suo pellegrinaggio terreno. Il rifiuto della sofferenza, che conduce al suicidio/omicidio dell’eutanasia, deriva dalla non comprensione del perché della sofferenza stessa. Ossia, non comprendendo il significato del dolore, l’uomo contemporaneo non può accettarlo per questo tenta di annullarlo affogandolo in un sonno ammantato di dolce pietismo ma profondamente oscuro e disumano.

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Mentre la pratica della buona morte conferisce dignità al morente e alla sua fine, che è il coronamento della sua esistenza, l’eutanasia invece vuole privare l’uomo dell’atto stesso del morire, tanto è l’orrore e l’angoscia che la morte suscita in lui. La buona morte, consiste nell’avere il tempo per pentirsi del male commesso nella propria vita, di chiedere perdono a Dio invocando la sua misericordia, di ricevere i Sacramenti e prepararsi a compiere il grande passo da cui non si può più tornare indietro, e che traghetta l’uomo nell’eternità senza fine. Inoltre, l’agonia costituisce la via stessa per giungere alla salvezza sperata attraverso la sopportazione del dolore e della morte in unione ai patimenti di Cristo. Quel dolore perciò diviene la condizione provvidenziale e privilegiata per ottenere il premio sperato: l’ultima battaglia da combattere prima della vittoria finale del Paradiso.

Ma l’eutanasia, narcotizzando la coscienza con un’ingannevole e mortifera «terapia omicida», illude l’uomo di addormentarsi “dolcemente”, convincendolo che in tal modo metterà fine alle sue sofferenze. Tuttavia, se quell’anima morisse in stato di peccato mortale non solo le sue sofferenze terrene non finirebbero ma ne comincerebbero di più grandi e così terribili e mostruose nell’eternità della dannazione, che se ne avesse una reale coscienza preferirebbe patire tutti i mali del mondo piuttosto che “staccare la spina”.

 

L’eutanasia, in un certo senso, manifesta la volontà perversa di sottrarre ai morenti anche quell’ultima possibilità di pentirsi prima di morire, e poter così salvare la propria anima dalle fiamme dell’Inferno eterno. Questa empia pratica annulla ogni speranza di salvezza ed è tanto più pericolosa perché avvolta da un’aura di pietismo che fa leva sul sentimentalismo disperato dell’uomo contemporaneo, incapace di guardare alla propria miseria perché convinto di essere un “semidio” destinato a governare l’universo, la materia, lo spirito, la vita e la morte, senza accorgersi, da povero folle, che anch’egli è sottomesso, volente o nolente, alla legge ineluttabile della morte e dello sfacelo che gli rivelerà la verità ultima su se stesso: “polvere sei e in polvere ritornerai” (Gn 3,19).

Dottrina Cattolica ed eutanasia

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Quando l'eutanasia è voluta espressamente dal malato si configura il gravissimo peccato di suicidio. Coloro che eseguono materialmente le pratiche eutanasiche, aiutando il malato a suicidarsi, commettono omicidio.

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Omicidio

«L’uccisione diretta di un innocente è sempre illecita.

Perciò è proibito uccidere a m m a l a t i per abbreviare loro le sofferenze; […]. A titolo di tentativo, è illecito ai medici dare una medicina pericolosa, che può avere come conseguenza anche la morte».

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«È illecito togliere la vita a un innocente, minorato o dannoso, per un preteso benessere dello Stato (cfr. Pio XII, allocuz. all’VIII Congr. Internaz. dell’Assoc. Med. Mond., 30 sett. 1954; AAS, XLVI, 1954, p. 587-598)».

[E. JONE, Compendio di Teologia Morale, n. 213]

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Suicidio

«Il suicidio diretto è peccato grave, quando si faccia di propria autorità».

È pure vietato il tentativo di suicidio, ponendo un atto da cui «per accidens» segua la morte, per abbreviarsi la vita […]. I suicidi vengono puniti con la privazione della sepoltura ecclesiastica, se prima di spirare non abbiano dati segni di pentimento (can. 1240), ovvero non possano essere scusati per mancanza di grave imputabilità (cfr. can. 2218, ∫ 2).

[E. JONE, Compendio di Teologia Morale, n. 210]

Chiunque uccide al di fuori dei casi di: 1) guerra giusta 2) legittima difesa 3) pena di morte contro un pericolo pubblico, “si rende colpevole del gravissimo peccato di omicidio, anche se la vittima ha appena cominciato a vivere da pochi istanti nel seno materno, o è un vecchio invalido, o un infermo in agonia. Non è lecito, per nessun motivo, abbreviare la vita, neppure di un minuto secondo”.

 

[Padre Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X, n. 193, p. 300]

Perché è peccato il suicidio?

 

"Il suicidio è peccato, come l’omicidio, perché Dio solo è padrone della nostra vita, come di quella del prossimo: inoltre è peccato di disperazione che, di più, toglie con la vita la possibilità di pentirsi e di salvarsi".

(Catechismo di San Pio X, n. 194)

Gravità del suicidio/omicidio dell'eutanasia

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“Chi toglie la vita a se stesso (suicida) o al prossimo (omicida) usurpa un diritto che spetta solo a Dio, l’unico padrone della vita e della morte. Per questo è proibito non solo il suicidio totale (attentato alla vita propria, seguito dalla morte), ma anche il suicidio parziale, come la mutilazione di se stessi”.

[…]

Chi si toglie la vita, dispera della bontà e della misericordia di Dio. Morendo senza aver il tempo o la possibilità di pentirsi, si toglie ogni possibilità di salvezza. […].

Il quinto comandamento proibisce anche la cosiddetta «eutanasia» (accelerare la propria o altrui morte per abbreviare le sofferenze della malattia) e la cremazione dei cadaveri, che è come un prolungamento del suicido o dell’omicidio”.

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[Padre Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X, n. 194, p. 302]

L’«accanimento terapeutico»

 

Con l'espressione di "accanimento terapeutico" oggi non si intende più solo l’eccessiva e immotivata pressione della medicina sul moribondo che lo priva della sua dignità, gli impedisce di prepararsi alla morte attraverso l’agonia, e gli nasconde la verità sulla sua morte imminente ma bensì anche la normale alimentazione, seppur endovenosa, necessaria a qualsiasi essere vivente per poter sopravvivere.

Nell’ideologia del «diritto al suicidio», oggi presentato in una veste ancora più “umanitaria” con la dicitura di “suicidio assistito”, la somministrazione di acqua e di cibo ad un malato paralizzato, o in stato comatoso, incosciente, o comunque fortemente invalidato, è considerata una forma di “accanimento terapeutico”. Un’assurdità puramente ideologica che equivale a dire che un neonato che non è in grado di sopravvivere da solo se non dipendendo da altri, che non è in grado né di alimentarsi né di lavarsi, che non è nemmeno cosciente della propria esistenza, quindi di apprezzare le gioie della vita, seguendo la logica dell’eutanasia, vivrebbe una vita che non è degna di essere vissuta. Un essere umano “condannato” ad una vita del genere non meriterebbe di continuare a vivere quindi, tanto per l’infermo quanto per il neonato, diventerebbe lecito sospendere l’alimentazione di cibo e acqua data la sua scadente “qualità della vita”.

L’eutanasia come destino

 

“Il contesto medico-ospedaliero in cui si muore oggi è dunque il contesto di una morte completamente assurda, che il morente non ha più nessuna categoria né morale, né spirituale per comprendere: in tale contesto si sta collocando e si affermerà a breve sicuramente l’eutanasia, il vero tema che albeggia dietro la favola del testamento biologico. L’eutanasia è l’ultimo atto del pensiero massonico che domina il nostro modo di intendere la sanità (non va fra l’altro dimenticato che una delle categorie più rappresentate all’interno delle logge è proprio quella dei medici). Infatti, poiché il modo di morire attuale, con la sua barbarie così immensa da non essere più notata da nessuno, e tanto meno dalle sue vittime, è del tutto osceno, ma oscenamente ricorda ancora troppo che l’uomo comunque muore (il dato in ultima istanza insopportabile per chi è senza Dio), ricorda ancora troppo che l’uomo è finito e non è onnipotente, occorre sostituire la morte con qualcosa di artificiale, di non naturale, impedendole di colpire senza un suo assoggettamento formale alla prassi medico-tecnologica dell’uomo deificato. Il darsi la morte, che ben presto, dove l’eutanasia viene introdotta, diviene un arbitrario dare la morte da parte dei medici ai pazienti o alle «vite indegne di essere vissute», non è un atto medico, per quanto indegno, ma un esorcismo ateo: il tentativo di un Occidente disperato e agonizzante, drogato dalla sua cultura liberale e dal sogno del diritto alla felicità, di liberarsi anche solo del ricordo della mortalità dell’uomo, nell’illusione di ridurla a un fenomeno meramente tecnico e come tale dominabile.

La conoscenza [medico-scientifica] senza la carità si rovescia così nel regno cainita della pura violenza, ovvero di una violenza che ignora anche la propria direzione e il proprio scopo, di una violenza felicemente cieca, che non soffre più nemmeno della propria insensatezza, del proprio vuoto assoluto, del proprio assordante nulla”.

[Quaderni di San Raffaele, La morte e il morire – Parte prima, n. 7 ottobre 2011, pp. 47-48]

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