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La morte nella musica

di Massimiliano Viola

Amo la musica classica e in particolar modo la musica sacra, che ritengo essere la più grande dimostrazione delle incredibili capacità dell’intelletto umano quando è proteso, con tutto se stesso, verso l’unico Dio.


L’infinita bellezza della musica è data soprattutto dalla sua capacità di suscitare nell’uomo incredibili emozioni, collegate ad immagini ben precise che essa stimola nella nostra mente. Se questo discorso è vero per la musica classica in generale, lo è sicuramente ancor di più per la musica sacra, in ragione del suo specifico “oggetto” – la preghiera – e del suo “destinatario”- Dio.


Le Messe da Requiem, in particolare, possono offrire la migliore dimostrazione di quanto appena riferito: l’ascoltatore attento, che si pone con umiltà dinanzi alla magnificenza delle melodie delle Missae pro defunctis, non potrà che restare folgorato dalle immagini che si palesano dinanzi ai suoi occhi e non potrà che lasciarsene trasportare con totale

abbandono di sé.

Il riferimento è, in primis, alle musiche per la liturgia cattolica e, in secundis, per la musica profana. A quest’ultima, scritta per grandi orchestre e cori, bisogna senza dubbio riconoscere il merito di quella che a me piace chiamare “teatralità”, la quale offre all’ascoltatore immagini suggestive e cariche, in un certo senso, di terrore.


Questa musica deve avere fondamentalmente due obiettivi: far pensare alla nostra morte e aver timore del giudizio di Dio. Il libretto delle Messe cattoliche di Requiem testimonia alla perfezione la situazione di completa impotenza degli uomini di fronte alla morte, lasciando emergere in modo sublime lo stato di totale dipendenza rispetto a Dio.

È come se la musica cristallizzasse la situazione e lasciasse intendere che il tempo per giungere alla salvezza è finito: è arrivato ora il momento di porsi dinanzi al Giudice giusto. Le note sembrano accompagnare l’anima nel suo viaggio dinanzi al trono di Dio, trasportandola dal mondo terreno verso le schiere celesti.


È il momento dell’abbandono a Dio, alla Sua giustizia ed è finito per l’uomo il tempo utile per ottenere il perdono e meritare il Paradiso celeste, godendo in eterno dell’infinita gloria del Re dell’universo.

Le preghiere della Missa pro defunctis sono dense d’immagini impressionanti, rappresentazioni realistiche di ciò che attende l’anima del defunto a seguito del suo distacco dal corpo.


Prima la supplica di un eterno riposo (requiem aeternam), poi la richiesta di pietà al Signore (Kyrie), quindi il tremendo Dies irae e, infine, la prefigurazione del giudizio universale anticipato dallo squillo di tromba (Tuba mirum). È questa la prima parte della Messa, quella in cui l’umanità intera – rappresentata dalle voci del coro e dei solisti –, alzando incessantemente il suo canto pietoso a Dio, sembra realmente introdurre l’anima al cospetto del Signore cui dovrà dar conto di ogni azione.

Si apre quindi la seconda fase, quella in cui è il defunto stesso a intonare il suo canto di supplica al “Re di tremenda maestà” (Rex traemendae maiestatis), per poi implorarlo di salvarlo dalle fiamme dell’inferno (Recordare) e chiamarlo così tra le schiere dei benedetti (Confutatis): “confutatis maledictis, flammis acribus addictis, voca me cum benedictis. Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis”[1].

Ha così inizio la terza parte della Messa, quella in cui l’umanità torna ad essere protagonista pregando Dio per la salvezza di quante più anime possibili nel giorno finale. È questo ciò che avviene nella splendida preghiera del Lacrimosa e del Domine Jesu, in cui l’umanità tutta è rappresentata nell’atto di umile preghiera al Signore:

Domine, Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni, et de profundo lacu. Libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam, quam olim Abrahae promisisti et semini eius”[2].


A seguito di questa supplica vi è l’Hostias, ovvero la richiesta di accettazione a Dio delle preces intonate in favore della anime di cui si celebra la memoria. La Messa termina, poi, con le tre canoniche preghiere del Sanctus, del Benedictus e dell’Agnus Dei, finendo esattamente così come era iniziata:

Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Non essendo questo il luogo in cui poter approfondire l’aspetto più strettamente musicale, vi invito ad ascoltare, per tentare di comprendere ciò che ho tentato di metter in evidenza, il magnifico Requiem in Mi bemolle minore per quattro voci, coro e orchestra del compositore russo Osip Kozlovsky (1757-1831), prima Messa di Requiem ad essere composta in Russia ed eseguita per la prima volta nella Chiesa cattolica di Santa Caterina a San Pietroburgo in occasione della morte del re di Polonia, Stanislao Augusto Poniatowski.


E come non pensare, poi, alla splendida musica del Requiem di Micheal Haydn (1737-1806), fratello minore del ben più celebre Franz Joseph Haydn (1732-1809). O, ancora, come non considerare la maestosità del celebre Requiem in Re minore K 626 di W. A. Mozart, musicato sui testi della liturgia cattolica quasi a voler far presagire la piena conversione del compositore proprio nelle ultime settimane della sua vita (cosa di cui sono pressoché completamente convinto)[3].3

Impossibile non menzionare, infine, quello che ritengo essere il più bel Requiem mai scritto: il Requiem in Re minore del grande compositore cattolico Anton Bruckner (1824-1896), colui del quale Franz Liszt dirà nel giorno del suo funerale che “viveva solo per Dio e per la musica”. Il consiglio che do sempre a tutti quelli che si avvicinano alla musica per la prima volta: alzate il volume, chiudete gli occhi e immaginate. Non siete immortali: prima o poi quell’anima sarà la vostra.

*

Requiem in Re min. K 626, W.A. Mozart, Lacrimosa. Direttore L. Bernestein, Orchestra e coro “des Bayerischen Rundfunks” (1988). Testo: “Lacrimosa dies illa, Qua resurget ex favilla, Judicandus homo reus. Huic ergo parce, Deus: Pie Jesu, Domine, Dona eis requiem. Amen.”


[1] “Confutati i maledetti e condannati alle fiamme ardenti, chiamami tra i benedetti. Ti prego, supplicando e prostrandomi, il cuore ridotto quasi in cenere, prenditi cura della mia fine”.

[2] “0 Signore Gesù Cristo, Re di Gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell'inferno e dal profondo abisso: liberale dalle fauci del leone affinchè non le inghiotta il Tartaro e non cadano nell'oscurità: ma il vessillifero San Michele le riporti alla santa luce che un giorno promettesti ad Abramo e alla sua discendenza”.

[3] Di questa imponente opera porto nel cuore un’esecuzione in particolare: è quella diretta dal grande Leonard Bernstein nel 1988 nella Chiesa di Maria Assunta nella cittadina bavarese di Dießen am Ammersee. Il tempo musicale è rallentato in maniera quasi esasperata; l’Amen posto alla fine del Lacrimosa è di una bellezza celestiale. Tutto il concerto è pervaso da un intenso senso religioso che non può in alcun modo lasciare indifferenti: è forse la migliore dimostrazione di cosa vuole dire fare musica sacra in maniera pienamente consapevole.

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